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FUORI delle RIGHE

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PROSSIMITÀ DELLA EMARGINAZIONE Lc 10,30-35

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».


Tra le tante parabole che Gesù ha raccontato questa è una di quelle che ci chiede di immedesimarci in uno dei personaggi raccontati.
La situazione sociale che stiamo vivendo tra il ribasso (virtuale) del rating e il ribasso (concreto) degli stili di vita per una economia che non basta più; una politica inquieta, litigiosa e inconcludente; l’incapacità di gestire il proprio genere e di rapportarlo all’altro con punte da cronaca nera quotidiana … verrebbe quasi da pensare: ecco sono quello caduto nella mani dei briganti. Ma ad uno sguardo più attento al mondo che mi circonda – forse – sono altri che hanno caratteristiche più cogenti da immedesimarsi in quel ruolo.


Il Sacerdote ed il Levita sono talmente antipatici che li scartiamo a piè pari. Però occorre fare attenzione perché loro rappresentano la Religione a cui, anche noi, in qualche modo siamo legati. Rappresentano la parte più cospicua del comando divino: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente”.  Il Sacerdote – racconta la parabola -  scendeva per la medesima strada, tornava da Gerusalemme, dal Tempio a cui aveva prestato servizio, ma il suo dovere era quello di mantenersi “puro” dunque doveva stare distante dalla morte, il contatto con quel disgraziato poteva contaminarlo e poi avrebbe dovuto sottomettersi a lunghi e compressi riti di purificazione. Il rapporto intenso con il Tempio, la vicinanza con Dio lo ha allontanato dall’uomo. Lo stesso discorso vale per il Levita di cui non si dice se tornava o andava verso il tempio e i suoi impegni religiosi.
Fa quasi spavento nelle parole di Gesù sentire come la Religione sia giunta, per mantenere vivo il rapporto con Dio, a rendere impossibile il rapporto con gli uomini … quella seconda parte del comando divino “Amerai …  il tuo prossimo come te stesso” passa in secondo, terzo piano fino a non contare più. A ben guardare non è del tutto fuori luogo l’espressione:  «La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli» (Karl Marx, dalla Critica della filosofìa hegeliana del diritto pubblico), soprattutto dove si afferma che è il sentimento di un mondo senza cuore. Quando la religione diventa una sommatoria di regole e di pratiche, di riti e di parole che non toccano il cuore, non cambiano la vita, si dà ragione al filosofo. Mi viene però da pensare come altri siano diventati i portabandiera di un mondo senza cuore. L’espressione: “Io sono contento quando un barcone affonda” del senatore leghista è piuttosto sintomatica anche perché raccoglie l’umano sentire di vaste porzioni di società. Non voglio scaricare su altri sentimenti di disumanità perché c’è chi ha il coraggio di esternarli e chi di nasconderli magari dietro un bel paramento finemente decorato e l’angelica armonia di canti antichi.


Il Papa nel suo viaggio a Lampedusa non ha risolto alcun problema (i barconi sono arrivati il giorno stesso e il giorno dopo) ma – secondo il mandato petrino – ha confermato i fratelli nella Fede. Proprio là dove la Fede ha la caratteristica di farsi prossimo. Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). Il Papa Francesco al fare degli abitanti e di coloro che operano a Lampedusa ha contrapposto la “globalizzazione della indifferenza” che, guarda caso nella parabola è raffigurata nei rappresentanti religiosi. È un fatto questo che mi ha molto consolato perché mi ha detto che duemila anni di storia non sono passati invano dal cuore dell’uomo.


La parabola che Gesù racconta, di un realismo incredibile, sottolinea piuttosto la prossimità degli emarginati: il disgraziato per un verso e il samaritano per l’altro sono due emarginati eppure ci raccontano la prossimità: il bisogno dell’uno si fa prossimo al cuore dell’altro.
Potremo domandarci a cosa servono i barconi che sbarcano a Lampedusa, o i barboni che dormono nelle stazioni, o la marea di umanità emarginata, siano immigranti o emigrati, nomadi o naviganti. Ecco sono un “segno dei tempi”, forse un dono di Dio al nostro cuore, perché si svegli in noi la Fede, quella che, più che i profumi d’incenso, cerca di concretizzarsi nel farsi prossimo e amarlo come se stessi.


Nel 2004, a commento della stessa parabola scrissi questa riflessione, che liberata dall’analisi di episodi d’allora, ha ancora una amara validità.

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